lunedì 21 febbraio 2011

Monday Tales- senza titolo

Lo ammetto, ho saltato un lunedi... ma adesso sono tornato, con una mia creazione abbastanza recente. Si tratta di un racconto sull'amore (tema da me affrontato davvero poco), ispirato al concetto di "ciclicità del tempo". Ammetto di averlo scritto mentre sentivo le "quattro stagioni". Inoltre non ha titolo, perchè non ne ho trovato ancora uno adatto, quindi meglio non metterlo, piuttosto che sceglierne uno forzato. Spero vi piaccia!







-Avete visto il mio vero amore?- chiese il Giovane.
-Verso Sud- rispose alzando la vecchia ed ossuta mano il Viandante.

Era Primavera quando il Giovane iniziò a cercare il suo vero amore. Egli l’aveva vista passeggiare leggiadra e sospesa sui verdi prati e attraverso le dolci foreste che ora anche lui ripercorreva, nel tentativo di trovarla. Veloce e noncurante passò interi campi di delicate primule, distese di orgogliose ortensie ed innumerevoli orchidee, che sembravano essere sbocciate come per magia al passaggio della favolosa creatura che il ragazzo andava inseguendo. Violette e ciclamini, myosotis e magnolie, papaveri, nasturzi, margherite e lavanda, lillà e mughetto. La natura era in festa ed esplodeva di quella forza vitale di cui solo un fiore può essere testimone vero e fedele. Ma il Giovane era insensibile a cotanta bellezza, perché ne inseguiva una a dir poco maggiore, egli correva verso la felicità eterna, verso l’immortale speranza.

-Avete visto il mio vero amore?- chiese il Giovane.
-Verso Est-  disse l’augusto Viandante, con un cenno dello stanco capo.

Era Estate ed il Giovane continuava la sua folle corsa, calpestando innumerevoli miglia, notte e giorno, sempre seguendo le flebili tracce del suo vero amore, sentendo l’appena percettibile scia di profumo. Profumo di pino e melograno, di melissa e di glicine, di lauro e di larice, di mirtillo, salvia e sambuco. Era il di lei odore o forse oramai egli non riusciva più a distinguere la differenza di tutte quelle piante e frutti e fiori dall’ essenza che andava disperatamente incalzando? Ma il tempo non permette soste ne remore di sorta, bisognava continuare e non disperare. Troppo evidenti i segni del suo passaggio, troppo chiari i suoi richiami. Il bosco era un turbinio di colori, gli alberi ondeggiavano allegri e festosi, piegati dal vento di levante, ed ogni cosa era concerto e festa.

-Avete visto il mio vero amore?- chiese il Giovane.
-Verso Nord- sospirò il Viandante, stiracchiando le decrepite membra.

Era Autunno ed il sonno prese il Giovane. La luce iniziava a scendere durante le lunghe e noiose giornate, e la foresta si preparava a riposare. D’oro e d’argento diventavano i forti pioppi e le nodose querce. Un morbido tappeto allietava gli stanchi piedi del Giovane, che sovente trovava ristoro sotto le fronde degli antichi platani e dei maestosi tigli. Il canto degli uccelli continuava ad accompagnare la sua corsa infinita, ma adesso al suo passaggio non vedeva altro che le foglie cadere, i fiori morire e gli animali scappare. Eppure il riposo non era neanche contemplato, la ricerca non era finita poiché se si sforzava egli ancora percepiva la presenza del suo vero amore. L’aveva trovata nell’odore di legna muschiata, nella bellezza del giallo e del verde del bosco, nelle gocce di rugiada e pioggia sopra i fiori appassiti.

-Avete visto il mio vero amore?- chiese il Giovane.
-Verso Ovest- mormorò il Viandante, immobile.

Era Inverno, tutto era bianco, anche il Giovane, disperato e sfinito. Nivea bianchezza cadeva dal cielo plumbeo e senza vita della foresta. Tutt’intorno era solo silenzio, insopportabile come un urlo continuo e petulante, che permeava ogni cosa uccidendola. Muti gli uccelli, muti gli alberi un tempo forti e gagliardi ed ora spogli e nudi come cadaveri. Il Giovane aveva perso la strada, aveva perso le tracce di lei, l’aveva abbandonata. Distrutto e sfinito si ritrovò a camminare, incerto e malconcio verso una polla d’acqua, oramai ghiacciata. Egli si vide riflesso e si spaventò della sua stessa immagine, tanto si era fatto vecchio e decrepito. La sua ricerca era giunta al termine, quando un ombra gli si avvicinò, veloce come lo era lui un tempo, per poi chiedergli:

-Avete visto il mio vero amore?-

Passò qualche minuto prima che rispondesse. Egli pensò alla sua ricerca, alle sue fatiche, alle sue speranze. Poi notò la bellezza dei fiocchi di neve, la perfezione dei gambi ghiacciati della rosa canina, il candore e la purezza dei prati, la tristezza pacata e meravigliosa dei salici in lacrime. Fu allora che la rivide ed alzò la mano:

-Verso Sud- rispose.



                                                                                                               Lorenzo Quadrini

lunedì 7 febbraio 2011

Monday Tales- Non trovo l'uscita

Ed eccoci al solito appuntamento del lunedi. Oggi voglio disseppellire un vecchissimo scritto, uno dei primissimi, agli albori della mia fulgida carriera. Scherzi a parte, semmai la mia carriera diverrà fulgida non credo che lo dovrò a questo scritto, ma ai fini del blog tutto fa brodo!
buona lettura                                                             



                                                 NON TROVO L’USCITA

Non trovo l’uscita. Ci provo, ci riprovo ma non la trovo. Eppure deve essere da qualche parte. Quanti giorno sono chiuso ormai? Fuori da ogni contatto umano, fuori da ogni rapporto, fuori dalla luce, dal buio, dall’ombra. Oramai non sento più neanche Lui. Tuttavia è stato Lui a farmi entrare. Mi ha attirato, con facili promesse. E molte le ha mantenute, irretendomi, adulandomi, viziandomi, facendomi assuefare ai suoi modi, al suo lusso, alla sua potenza, aumentando sempre più la mia mollezza. Nondimeno non sono certo nata ieri. Io e la mia “razza” siamo combattenti, sveglie, veloci, arrampicatrici. Ma  non è servito a nulla.
Poco fa uno spiraglio, un po’ di luce, un po’ d’aria. Era Lui. Voleva vedere se ero già morta. Vorrei rimanere viva solo per il dispetto, solo per fargli un torto, l’unico che potrei fare in queste condizioni. Quell’essere infatti mi controlla senza sosta; detiene il potere unico, è tutto ciò che ho, è il mio destino. E dire che nel primo istante, quando “la scatola” è calata su di me per la prima volta, accompagnata da quel vago sentore di morte, io pensai ad uno scherzo. Non potevo credere che il mio benefattore potesse volermi del male. Anzi addirittura non riuscivo a concepire una cosa del genere. Solo il tempo mi squarciò il velo di menzogne che avevo costruito sulle Sue menzogne, aiutandomi a capire. Capii che non mi aveva intrappolato per farmi riposare, come congetturai il secondo giorno. Capii che non mi avrebbe più cibato, più saziato, più soddisfatto già il terzo giorno. Il quarto soltanto intuii che voleva la mia sofferenza, che voleva essere partecipe della mia fine. Non solo, Lui voleva essere l’incarnazione della mia fine. Lo seppi non appena studiai i suoi movimenti, dapprima sempre atti ad aprire una fessura, per farsi un’idea del mio stato di salute, come se non aspettasse altro che io spirassi. Poi si fece più cauto, mi concesse del tempo, divenne calmo, calcolatore e freddo. Per usare una sua espressione mi “cosse nel mio stesso brodo”. Quanto dovetti soffrire, quanto dovetti penare!
La furia cieca mi travolse il quinto giorno. Un record sicuramente imbattuto. Non morire in quelle condizioni sfiorava la follia. Sbattei sulle pareti, quelle morbide pareti inviolabili che erano la mia prigione e la mia tomba. Urlai, stridei, combattei, sempre sconfitta e sempre umiliata. Che peso tremendo sul mio cuore! Essere tradita dallo stesso che fino ad allora mi aveva accudita e protetta. Un peso, un macigno gravava sulla mia anima, come se non potessi respirare, come se fossi sott’acqua, senza più appigli, senza salvezza. Il fiato era mozzato, gli occhi strabuzzati. Lacrime scendevano, di rabbia e costernazione; di tristezza ed amarezza, lacrime di morte.
E così arriviamo alla fine dei miei giorni. D’altro canto come potevo sperare in un lieto fine? Lui, quel Lui che era stato mio compagno si è trasformato in carnefice. Ma poteva essere altrimenti? Così grande, enorme, immenso, infinito; ed io così piccola ed indifesa. Ormai ho scacciato via i “perché”, i “come mai”, e quasi non penso più a quelle sue mani, divenute artigli e catene. C’è dolore in questa scatola, ma anche rassegnazione. Non resisterò più, ti darò la soddisfazione che cerchi, ti darò ciò che hai sempre voluto, ti darò tutto ciò che ho. Ti darò la mia vita; è tua, prendila.
Infine, mentre esalo l’ultimo respiro, rido. Sghignazzo e sogghigno, rido di me e della mia stupidità, della mia ingenuità, mi regalo un ultimo momento felice. Non mi interessa più nulla, non mi interessa rivedere le verdi praterie ed il cielo cobalto. Nulla mi appartiene adesso.
Ma d’altronde, si è mai sentito di una lucertola che fa amicizia con un ragazzino?



                                                                                                              L. Quadrini 

mercoledì 2 febbraio 2011

Aspettando il 649

Eccoci di nuovo tutti "insieme appassionatamente" per un inedito post del sottoscritto. Ho fatto una lauta colazione, ho messo su Samuele Bersani e c'è il sole che splende sulla capitale, pertanto se non scrivo adesso non scrivo più.

Vorrei raccontarvi di una mia piccola odissea, vissuta la settimana scorsa, di mercoledi. Una di quelle esperienze che hanno fatto tutti almeno una volta nella vita e che, nel momento di massima drammaticità, ci porta ad allontanarci sensibilmente dagli standard del genere umano, per assumere atteggiamenti piacevolmente animaleschi. Sto parlando naturalmente dello sciopero dei mezzi a Roma.
Dovevo andare alla stazione Termini, per pagare delle bollette ed incontrarmi con il mio coinquilino Dilù, per poi pranzare insieme al mio amico Lembus ed infine recarci alla mostra multimediale del p.c.i.
Esco di casa con largo anticipo (dopo una bella doccia) per infilarmi nei meandri della metropolitana. Passo davanti al cancello e lo trovo stranamente chiuso, senza nessun foglio informativo o simili. Penso che si tratti di un problema al sottopassaggio, per cui vado verso un'altra entrata. Chiusa anche quella. Mentre ragionavo sul fatto che due cancelli chiusi potessero non essere una curiosa coincidenza mi tornano alla mente come una fucilata le parole biascicate da ZiniWini (un altro mio coinquilino dal nome buffo) la sera prima:- uè guardate che domani c'è lo sciopero dei mezzi!-. Nonostante la passione di ZiniWini per i cibi pieni di grassi saturi, aveva ragione. Mi lancio verso la fermata dell'autobus 649, situata lungo via Aosta, ed attendo. Poi mi ricordo che non ho il biglietto, per cui mi infilo come un fulmine dentro al bar di fronte alla fermata, il quale esponeva tronfio un cartellone gigantesco con scritti tutti i ticket che era possibile acquistare all'interno. Quello scritto più grosso era logicamente "biglietti autobus e metro". Entro dentro chiedendone due, ma la signorina alla cassa mi risponde che non li ha mai venduti in vita sua, i biglietti atac.
-ma fuori c'è scritto che li vendete!- obietto
-a si, fuori... be si li vendiamo- risponde
-allora me ne dia due.-
-no, ma noi non vendiamo i biglietti del bus-
A questo punto convengo che sia meglio uscire, attraversare la strada, ed infilarmi dentro un tabacchino li di fronte. Il tabacchaio mi guarda come se avessi chiesto della droga, e mi rispedisce sulla strada, un po' abbattuto dal passaggio in quel preciso istante del 649. L'unica soluzione rimane raggiungere il capolinea (situato vicino casa, a Largo don Orione), raccattare due biglietti li vicino e sperare che passi l'autobus.
Ottenere i ticket risulta essere più facile vicino al capolinea, per cui ora non resta che aspettare che passi il mezzo. La fermata è piena di gente stravagante, molta più del solito, conseguenza normale della penuria di bus.
Un signore piacione raccoglie la mia attenzione, sebbene inconsapevolmente. Lui infatti come scopo ha quello di attaccar bottone con un'altra signora in attesa. Le prova tutte, dall'approccio indifferente fino alle battute del peggior libro di barzellette. La dama però, granitica come le antiche Vestali romane, continua a fissare l'orizzonte, sperando nell'arrivo della sua ancora di salvezza (sotto forma di 649).
Al piacione rimane l'ultima carta:
-ce lo sa signò qual è l'unica cosa che funziona pe fa arriva' er tramme?- attacca il guascone
-(mugugno indistinto della donna)-
-eccola-trae dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accende una imitando james dean in "gioventù bruciata"- appena uno se accenne la paglia, spunta pe magia.-
Be comunque, tanto dice e tanto fa che effettivamente, appena accesa la sigaretta, arriva anche l'autobus. Si caccia il mozzicone dalla bocca, buttandolo a terra ed aspettando il bacio della principessa. Ma lei invece sale subito sopra al mezzo, sedendosi vicino ad un altra donna. La loro storia d'amore era all'epilogo. Io invece, che stupidamente non amo viaggiare a fianco di altre persone, scelgo l'ultimo posto singolo disponibile. Stiamo per partire quando mi accorgo che devo timbrare. La macchinetta obliteratrice è proprio davanti a me. Mi alzo, vidimo il biglietto e mi rigiro: il posto è occupato da una simpatica vecchietta. Mentre mi chiedo come abbia fatto ad entrare e sedersi in soli 25 secondi sono costretto a sedermi a fianco di un distinto signore. Perlomeno non si tratta di uno di quei soggettoni che si incontrano spesso sugli autobus, mi dico. Lui per tutta risposta estrae un libro dalla sacca: "L'esoterismo nel mondo politico: il potere della magia".
Inizio a rimpiangere il guappo con la sigaretta in bocca e per un momento sono tentato di scendere alla fermata del bar Pompi, mandando a farsi friggere tutti gli appuntamenti della giornata. Poi mi calmo, mi dico che sono sciocco a pensare queste cose.
-ma certo, solo con l'occultismo si possono controllare le masse!- esplode il mio compagno di viaggio.
Inizio a pigiare il tasto della fermata ma oramai è troppo tardi, Pompi è superato e non mi resta che abbandonarmi alla sorte maligna.
Per il resto il viaggio prosegue tranquillamente, con una vecchietta che ondeggia a destra ed a manca del bus, sbattendo contro tutti gli spigoli possibili (naturalmente non le ho ceduto il posto) ed un'altra signora grassa con una tosse altrettanto grassa, che le provoca boati incontrollati ogni dieci secondi.

Una volta sceso dal 649 la giornata si è raddrizzata, la mostra si è rivelata interessante, l'inter ha vinto la sfida di coppa contro il Napoli e mi è venuta una febbre da cavallo, possibile conseguenza degli strapazzi vissuti e della tosse germinosa della grassa matrona. Ad ogni modo meglio riderci sopra, perchè se ci si riflette queste esperienze "all'italiana" fanno solo piangere...


lorenzo quadrazza